martedì 4 gennaio 2011

Il Principato di Carpi e il Ducato di Modena


Il Principato di Carpi e il Ducato di Modena

Pubblicato su La Voce di Carpi 11-12-2008

Nel giugno ‘98  venne a Carpi Gianni Agnelli, invitato ad un convegno dal futuro successore Luca Cordero di Montezemolo, ai tempi Presidente della Confindustria di Modena.
Il Teatro Comunale, da poco restaurato, risplendeva orgoglioso dei morbidi e opachi riflessi dell’oro antico che adorna e impreziosisce il suo interno; una cornice d’antan rievocativa di un’epoca appena post risorgimentale (1861) che aveva sancito l’annessione del territorio estense al nuovo Stato unitario, manu militari e plebiscitaria, e il conseguente virtuale affrancamento, però, del Principato di Carpi dal Ducato di Modena.
Il teatro era colmo di tutta la gente elegante e vip di Carpi e Modena.
Davanti a quella folla, in religiosa attesa del Verbo, l’Avvocato servì, comme entrée, una delle sue battutine, che nascondevano in realtà acuminate e impietose sentenze.
Disse, con divertita noncuranza, guardandosi intorno:
“Non sapevo che CaVpi fosse la Capitale di Modena !”.
Un gelo sottile scese sulla platea, composta più da modenesi che altri.
Le ascelle di quelle camicie incravattate si bagnarono di freddo sudore e non certo per il clima afoso.
Nascosto nel buio di un palco di terza fila, nella mia qualità di intrufolato, non potendo trattenere il riso, implosi in uno sghignazzo.
Da altri palchi qua e là si udirono altre risate e qualche applauso, resi ancor più sonori dal ghiaccio della platea.
Ai Modenesi quel gelido aperitivo si bloccò nello stomaco, prima di tramutarsi in un mal di pancia, quasi acuto.
Gianni Agnelli, per storia personale, carisma e intelligenza rappresentava perfettamente la figura del Principe di Macchiavelli. Un uomo libero di dire ciò che pensava, con sapiente gusto di un mirato e soffice cinismo.
Non aveva quindi alcun motivo di arruffianarsi quel popolo di feudatari e vassalli, che attendeva diligente e ossequioso lo svolgersi ordinato di un palinsesto concordato e piatto.
Quindi, resosi conto del disagio provocato, l’Avvocato attaccò a parlare della situazione economica, quasi a voler somministrare un antispastico a quei poveri pazienti sofferenti.
La tensione si allentò e la traspirazione comincio lentamente a normalizzarsi.
Che grande istrione!
Ma l’Avvocato aveva messo, forse senza saperlo compiutamente, il dito dentro una piaga antica e mai sanata.
I modenesi hanno sempre pensato di considerare Carpi una loro frazione, come anche Sassuolo e Vignola.
A quei tempi era iniziata da la lenta e inesorabile china in basso dei carpigiani, considerati fino ad allora sorta dei danarosi e un po’ grezzotti milanesi del basso destra Po.
Durante e dopo il boom degli anni’60 tutto il vecchio era stato gettato per far posto al nuovo, con uno sviluppo vorticoso e disarmonico che fece perdere di vista la propria identità e le proprie tradizioni.
In certi bar si sentiva la battuta:”Stè ‘n ghèe mia un milierd …  te’nnì nisun !…”: I “bési “ (i soldi) valevano più di tutto il resto. Mutò così anche il concetto di dignità pur di avere la giusta Mercedes.
In piazza poteva così andare qualsiasi disonesto, senza più sentirsi apostrofare con la battuta: “Troia, péga i débit !”che un tempo suonava come l’insulto peggiore all’onore di una persona.
Poi la cuccagna finì quando la maglieria entrò in forte difficoltà, a causa del passaggio di consegne generazionale, del mutamento del mercato e della storia.
Se uno sviluppo è troppo rapido, se la ricchezza giunge in mano a gente di scarsa cultura, quasi come sorta di vincita di una lotteria, è fatale che la risacca riporti in mare ciò che aveva lasciato sulla spiaggia la grande onda che l’aveva preceduta.
E così i soldi dei magliari erano finiti in approdi più mirati: in borsa e nella pietra.
Modena aveva capito che era il momento di tentare la riannessione e così, complici gli stessi imprenditori carpigiani, era iniziata a tutti i livelli un processo di fagocitosi, nel segno della globalizzazione e della razionalizzazione di costi ed energie.
L’AIA (Associazione Imprenditori Abbigliamento) era stata svenduta in Confindustria e persino nel pubblico, vedi l’Ospedale Ramazzini, era in atto il processo di accorpamento.
La stessa sede vescovile ad ogni vacanza, sembrava dovesse essere assorbita dall’arcidiocesi modenese; non chè tale mancanza mi allarmasse più di tanto
I carpigiani facevano l’esame di maturità classica o tecnica a MO e poi andavano all’Università a MO, al cinema a MO, al ristorante a MO, a ballare a MO, al night a MO, allo stadio a MO, a far spesa alla Standa sotto il Portico del Collegio a MO.
Carpi pareva quasi una città dormitorio e il suo simbolo una desolante e immensa Piazza deserta; la città si era come svuotata, mentre iniziavano lentamente le invasioni barbariche dal Pakistan, dal Maghreb, dall’Albania e infine dalla Cina.
Anche qualche straniero più avveduto, già agli inizi degli anni ’90, diceva che a Carpi non c’era niente. E aveva ragione.
Io non so se i miei concittadini abbiano mai sentito questa minaccia alla loro identità.
Io sì, memore delle ripetute parole dei miei familiari che dicevano di non essere servitori del “Duca Pasarein”, come invece i modenesi (definiti in modo tagliente e non certo benevolo “Zémian” da San Geminiamo, patrono della città) lo sono da sempre.
Io non mi sono mai sentito modenese di periferia, ma carpigiano con tutti i pregi e difetti.
I nostri idiomi celtici, sia pure assonanti, sono troppo diversi.

dic 2008   Mario (Emme) Martinelli & Mauro D’Orazi

Niente statue, siamo carpigiani ! (Gnita statui, a som carpsan !)


Niente statue, siamo carpigiani ! (Gnita statui, a som carpsan !)
Pubblicato su La Voce marzo 2008
Caro Direttore,
quando fu inaugurata la statua metallica alla Resistenza di fronte al cimitero, andai subito a vedere il catorcio arrugginito costato, si dice, allora ben 140 milioni di lire; il prezzo eccessivo, l’evidente bruttezza, il messaggio incomprensibile della sua significanza, le facce sorprese e perplesse dei resistenti e dei loro discendenti col cappello calcato in testa erano palesi, ma … c’erano i sacri principi da celebrare e rispettare; nessuno, al di là di qualche sordo e impercettibile mugugno, disse nulla; ora il manufatto giace non capito, pressoché ignorato e dimenticato.
Ancor prima, anche il “povero” Manfredo Fanti con la sua faccia, e qualche altro attributo, di bronzo, fu alla prima occasione smarrito (voce dialettale che sta per mandato via) dalla nostra piazza per nostra fortuna. Luogo che aveva invaso con intemerata equina protervia, grazie alla civica e incontenibile spinta dei mai sopiti valori risorgimentali; il generale, con piedestallo e cavallone, venne elegantemente dirottato e abbandonato nel parco fuori le mura a Porta Mantova: .. sta mò lè !
Già da allora, negli anni ’30, prendeva forma un misterioso assioma presente nel DNA del carpigiano: un principio che poi verrà istituzionalizzato definitivamente negli anni ’80: la Grande Piazza deve, per lo più e per quanto possibile, rimanere vuota e deserta: ogni utilizzo, nell’inconscio più profondo e latente dell’indigeno, pare offensivo come fosse un atto di lesa maestà a questa grande superficie che arriva a identificarsi e sovrapporsi col carattere della nostra città e dei suoi abitanti.
La statua della bella fanciulla Flora, certamente più affascinante del generale, che ammiccava con morbide e liquide suadenze femminili nella Piazzetta delle Erbe non ebbe, in tempi più recenti, sorte migliore; fu anch’essa deportata, con atto improvviso e proditorio (degno del ratto delle sabine) stavolta fuori Porta Modena, fra le proteste e le petizioni, per un mai riottenuto ritorno, del commediografo carpigiano Vittorio Salati.
La regola del “fuori porta”, cioè in altre parole … “Sì ! Ma fuori dal Centro Storico !” … trova poi definitiva applicazione negli anni ‘80/’90 con la sistemazione dei busti di Salvo D’Acquisto e del Bersagliere Italiano … dove ? Ma naturalmente a Porta Barriera, vicino alla stazione dei treni, dove sorgeva l’ultima delle tre porte abbattute.
Poi, a cadenze periodiche, si alza qualche voce di chi vorrebbe spostate le steli del Mausoleo al Deportato nella più confacente e opportuna collocazione del Campo di Fossoli, nel disperato tentativo di far loro abbandonare l’incongruo ambito rinascimentale di Palazzo dei Pio; stridore che appare ancor più evidente oggi, dopo il bellissimo lavoro di ristrutturazione appena effettuato sul Palazzo.
Per non parlare poi di una costruenda statua dedicata a un tale nato a Correggio, Dorando Pietri, uno che ha perso una corsa tanti anni fa; manufatto di cui, detta proprio con il cuore, non si sente una gran necessità, anche nell’ambito di un pirotecnico centenario rievocativo che piace solo a chi ha le mani in pasta.
A Carpi tira dunque una brutta aria per statue e simili. Sembra quasi sussista una damnatio loci, una maledizione nei loro confronti.
E la vicenda tragicomica delle Statue di Severi ne è l’ulteriore testimonianza.
Sono anni che pochi continuano a parlare e straparlare di queste opere, mentre ai più (ovvero alla stragrande maggioranza dei cittadini carpigiani) non interessano assolutamente nulla e questo nel modo più totale e completo. Secondo i pochi le Statue di Severi avrebbero effetti addirittura terapeutici, taumaturgici, risollevanti, effervescenti, ricostituenti, stimolanti, corroboranti, tonificanti, ecc …  per il Centro Storico di Carpi, che pare non rivitalizzarsi nonostante il nuovo intelligente piano parcheggi, e a ricaduta, come ovvio, per la città tutta. Pensate che potere teurgico e salvifico hanno queste statue: qualcuna potrebbe emettere pure qualche lacrima o gocciolina di sangue.
Se si fosse trattato di statue del Canova o di una collezione di quadri di Raffaello, Botticelli, Allegri o, per avvicinarci ai nostri tempi, di Modigliani, Morandi o Picasso …. certamente i visitatori non sarebbero potuti mancare, ma per vedere sublimi simulacri tridimensionali, riservati alla raffinata comprensione e alla sottile sensibilità artistica (e scriviamolo una buona volta !!!) di un esiguo numero di eletti, è proprio difficile immaginare, con la migliore buona volontà e con la più fervida fantasia, file interminabili di turisti che sgomitano e spingono per venire a Carpi.
Eppure sono ormai anni che se ne parla, se ne parla, se ne parla … di queste benedette statue; una messinscena con una trama sfilacciata e confusa, a tratti involontariamente comica, senza trascurare variopinte venature misticamente ispirate e artatamente drammatiche: chi fa finta di capire, chi di non capire, chi fa bolle di sapone, chi si erge indignato, chi si dissolve guardingo, chi recita a soggetto, chi gioca a ping pong, chi pratica auto erotismo a basso costo, chi inanella eleganti giri di valzer.
Ma i risultati per il momento sono solo due: 1) il neo Principe della Fondazione si sta divertendo come un matto, sapendo molto bene di non esserlo e di avere lucidissimi disegni; 2) i pochi carpigiani, che seguono sbadigliando la vicenda, hanno ormai i “cosiddetti” della dimensione e del materiale al pari di quelli carpigianamente arci-famosi del gen Fanti, a cui più sopra, col dovuto patrio e civico rispetto, si accennava.
Mauro D’Orazi                                                                        22 mar 2008

Il prof. Ottorino SAVANI - Un Maestro - Un Amico - Un Esempio.


Il prof. Ottorino SAVANI - Un Maestro - Un Amico - Un Esempio.

Scrivere del nostro Professore, in un momento in cui da pochissimo non è più tra di noi, è certamente difficile, anche se lo stimolo a ricordare, a ricostruire nella mente cose del passato diventa ancora più irresistibile.
Carpigiano, quando lo vedemmo per la prima volta, ritornava a casa, da un lungo soggiorno nella dotta Bologna, dove aveva insegnato con merito all'Istituto Magistrale "Laura Bassi" dal 1950 al 1968.
Fu appunto nell'ormai lontano ottobre di quell'anno che entrò nella nostra classe (la II^ A) del Liceo Scientifico di Carpi ... e dritto dritto nella nostra vita. Fummo la prima classe dell'istituto che il Professore portò fino alla quinta, al fatidico esame di maturità. Eravamo una classe formata da studenti delle più varie estrazioni sociali e familiari provenienti da Carpi e dai più importanti comuni limitrofi. Una classe che non sarebbe mai stata molto unita, come invece altre dello stesso periodo, ma che nel corso degli anni avrebbe poi finalmente scoperto o riscoperto e apprezzato le singole personalità dei suoi componenti, per stringerli assieme indissolubilmente per tutta la vita. Uniti, ognuno con le proprie diversità, volenti o nolenti, da tante grandi e piccole sensazioni e da punti fermi che sarebbero diventati sempre più evidenti e indispensabili per capire il perchè del nostro essere, del nostro modo di pensare, delle nostre scelte di vita e di lavoro.
Uno dei punti forti di questa strana unità è stato proprio il nostro Professore col quale passammo gli ultimi quattro anni del corso.
Lo avremmo imparato a conoscere ben presto come persona di vasta … immensa cultura, ma di ancora più grande umanità, riservatezza e modestia.
Il Professore non si era mai sposato e la sua vita è stata dedicata all'insegnamento alla conoscenza delle discipline classiche ed in modo speciale e simbiotico alla musica. Il trascorrere del tempo, la consuetudine quotidiana, crearono un rapporto speciale fra lui e i suoi studenti, un diverso relazionarci che non è mai cessato, anche dopo i conseguimento del diploma.
Le sue conoscenze e le sue capacità mnemoniche erano impressionanti: capacissimo di sciorinare in un attimo una dozzina di date, con annessi fatti e riferimenti relativi alla letteratura italiana o latina, scatenando, in noi studenti grida e veri e propri cori di ammirazione e stupore.
Era evidente che non erano pure e sistematiche dimostrazioni di freddo nozionismo (tanto vituperato a quei tempi), ma chiari segnali, punta di un iceberg, che dimostravano l'esplicarsi di una vocazione a un'esistenza dedicata all'approfondimento e alla prese di intimo possesso di quelle materie che diventarono, assieme alla musica, aspetti fondamentali della sua ragione di essere e di vita.
"Nessuno sfuggirà!!!" ripeteva minaccioso all'indirizzo di alcuni incalliti renitenti a sottoporsi alle interrogazioni su Dante o di letteratura latina; materie che, soprattutto alla fine dei quadrimestri, portavano a un singolare fenomeno, che lui ironicamente definiva e paragonava alla Sinfonia degli Addii. Egli faceva riferimento a una singolare composizione di Haydn, che vedeva una lenta, silenziosa e programmata uscita degli orchestrali dalla sala di esecuzione del brano, così come lo era quella degli studenti dalla classe.
Ogni tanto qualcuno di noi più impertinente chiedeva spiegazioni e particolari su alcuni episodi della sua vita privata, di cui eravamo venuti a conoscenza per vie traverse: la straordinaria laurea ottenuta col massimo dei voti e la lode nel febbraio del 40, quasi un mese prima di compiere solo 21 anni; le prime supplenze in quell'anno presso il liceo carpigiano; lo studio del violino con qualche esibizione giovanile; la guerra che l'aveva visto sottotenente e poi prigioniero per quasi due anni in Germania e in Polonia.
Il Professore fu catturato il 9 settembre del 1943 a Monaco di Baviera dove svolgeva mansioni di collegamento, guarito da una grave malattia contratta nella prima fase della campagna in Russia, dove tra l'altro si era guadagnato una croce al merito.
Fu in quell’epoca che, ricevuti ordine superiori perentori di fucilare dei disgraziati prigionieri russi, riuscì a evitare di eseguire la drammatica imposizione, a rischio della sua stessa vita. Liberato nel giugno del 1945, aveva poi ripreso la sua attività di insegnamento.
Il Professore, interrogato su questi fatti, si schermiva, arrossiva in volto, poi, dopo ripetute insistenze, finalmente ci concedeva il racconto di qualche aneddoto, narrato sempre in modo misuratissimo e con molta ironia.
Audacemente e segretamente scartabellando negli archivi della segreteria del Liceo (per altro sempre con la porta aperta) due studenti della classe prima della nostra avevamo imparato la sua data di nascita (2 marzo 1919) e così negli ultimi anni del nostro corso per quel giorno veniva sempre preparata qualche sorpresa augurale.
La classe più anziana della nostra, per prima si presentò, ragazze e ragazzi, in aula con grande solennità addirittura in abito da cerimonia.
Il Professore rimaneva sempre imbarazzato e stupito, ma, penso, in cuor suo, molto molto contento: a ben guardare la sua famiglia siamo stati anche noi.
Questa celebrazione si è poi tramandata, anno dopo anno, classe dopo classe, fino ad arrivare al leggendario episodio dell'ultimo compleanno prima del pensionamento nel 1978.
Quel giorno il programma fu organizzato da un piccolo, ma ben determinato, nucleo di ex studenti e fu ingaggiata addirittura la Banda Municipale di Carpi che prese posto nel cortile del liceo assieme a numerosissimi allievi degli anni passati.
Un grande striscione campeggiava con la scritta breve, ma più che mai eloquente: "GRAZIE OTTORINO". Verso le undici, al segnale convenuto, la banda attaccò con un bene augurante "Va' pensiero". Il Professore si sporse subito dalla finestra, per ritirarsi nervosamente sconcertato; riavutosi dalla grande sorpresa, uscì poi in cortile a salutarci fra gli applausi scroscianti dei tanti presenti. Il fatto ebbe notevole risalto sui giornali dell'epoca e l'episodio è stato anche riportato sul libro dedicato al 50° anniversario del liceo.
Socialista da sempre, visse la sua militanza in modo interiormente e idealmente convinto, ma sempre un passo ... o due  … indietro a coloro (tanti) che sgomitavano per arraffare posti e privilegi. Con lui era certamente vera l’antica frase: “Passa un socialista! Passa un galantuomo!”. Evitò accuratamente di mettersi in mostra, declinando cortesemente, ma con fermezza, i vari possibili incarichi che gli venivano offerti. Mi confessò di vivere con grande imbarazzo e amarezza la devastante e sciagurata fase craxiana, che poi portò sostanzialmente alla fine del socialismo in Italia.
Una volta in pensione, il Professore ha trascorso il tempo dedicandosi ai pochi amici intimi, tra i quali ricordo con piacere il mio maestro delle elementari Ivo Lodi, all'ascolto della musica e alla lettura, o meglio rilettura, dei classici. Riceveva frequentemente e con gioia visite e telefonate dei suoi studenti, ricordando di ognuno di noi episodi e particolari e seguendoci con attenzione nell'evoluzione delle nostre esperienze di vita successive al liceo.
Prima che insorgessero seri problemi di salute, non di rado, al pomeriggio, lo andavo a prendere in auto e lo portavo a casa mia, dove gli proponevo l'ascolto delle mie ultime "scoperte" nel campo della musica classica, dovute ad un’esplosione di una mia vocazione tardiva, quanto irresistibile per Mozart, Handel, Beethoven, il melodramma, ecc ...
Il Professore ascoltava con piacere e grande attenzione, davanti a una sobria tazza di té, regalandomi commenti, giudizi e facendomi notare sfumature che non sarebbero forse mai state colte dal mio orecchio duro e profano.
E di quelle preziose ore conservo un bellissimo e incancellabile ricordo, paragonabile ai tempi e agli anni di Curta S.Chiara.

Carpi, 14-4-94  (revisionato il 9-10-2010)                                      
                                                                                                    Mauro D'Orazi

Evoluzione del dialetto


Evoluzione del dialetto   nov 2010   Mauro D’Orazi      dorry@libero.it

Anni fa partecipai ad alcune bellissime serate presso la "Falegnameria Beltrami" dove, di lunedì, si dibatteva, fra le altre cose, anche l’enigmatico tema  " Il dialetto carpigiano è morto ?" Agli interessanti dibattiti intervennero vari eminenti personaggi della carpigianità. Il risultato quasi unanime fu che se proprio non era morto, il dialetto stava molto male e che per il futuro non c'erano molte speranze.
Il mio parere era ed è invece un po’ diverso: il dialetto imparato in famiglia, dalle zie e dalle cugine sta certo scomparendo, ma "quel dialetto", non il "dialetto", che continua e continuerà ad esistere, pur attenuato dall'istruzione medio - alta generalizzata, annacquato dall'invadente e arrogante linguaggio dei media e contaminato da neologismi. Ciò non è altro che un fenomeno comune ad ogni lingua viva, chiunque in passato ha tentato fermarlo (e sono tanti gli esempi di tali stupidi nazionalismi nella storia) quasi sempre è caduto nell'assoluto ridicolo con risultati insignificanti.
A distanza quindi di oltre dieci anni da quelle serate, il dialetto continua per la sua strada; non è morto e lo sento parlare tutti i giorni, ma la sua trasformazione è continua, coinvolgendo giovani e anziani.
I giovani con strane miscelazioni (chèlsi, invece che calsèt,  pisée invece che rudea,  ho colto anche un clamoroso ogg pomerigg, di origine meridionale, per incò dòprans, ecc ... tutte cose orribili, ma che si sentono) e gli anziani con l'assorbimento di nuove parole.
Comuni a tutte le categorie umane e forse le ultime a morire saranno l'esplicito "Tèn càpis gninta... cretèin !!!"  e i chiarissimi e raffinati "Mò va a cagher !!"  o "Tola in dal cul !!" queste ultime dai significati, direi, lampanti, per esplicitare a qualche inopportuno, che staziona nei pressi del declamatore delle fatidiche frasi, che è gentilmente invitato a spostarsi in un altro più idoneo loco o a prodursi in prestazioni particolari, essendo la pazienza terminata.
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Poco tempo fa ero nel Parco delle Rimembranze (quél davanti a l'usdèl - ma già da tempo alterato comunemente in un più italianizzato "uspidèl"); passo davanti una panchina dove erano seduti due pensionati col cappello in testa e ho modo di sentire questo dialogo.
"Sèt fàt incò ? "- Cosa hai fatto oggi  -  " Guèrda, a i ho apèina finì ed ferèm carghèr al celulèr !! Ai ho fàtt na carga da dès evro." - Guarda ho appena finito di farmi caricare il cellulare con 10 euro - "UMhh, te fàtà propria bèin !! L'è un lavor cà dèv fèr anca mè !!" - Hai fatto proprio bene! è una cosa che devo fare anch'io!
Si nota dunque che nel dialetto è stato assorbito non solo il più comune "telefunèin" (dam al telefunèin !!- a rispòund al telefunèin !!), ma addirittura è stato preso il termine ben più tecnico di cellulare; la stessa cosa però capitò ad esempio negli anni '60 con la televisione (impìa /smorsa al televisor !! .. o la televisòun).
Per l'euro poi non se parla, è stato acquisito subito. Evro!
Ma non solo: fra i  miei amici di PC, qualcuno mi ha detto "Ai ho fàt metèr su l'adieselle  -  adesa a vag come al treno ...  a scarghèr !!" - Ho fatto montare l'ADSL, (la banda larga per collegarsi ad alta velocità con internet) – adesso vado fortissimo a scaricare!  Oppure: A gh ho ‘na ciavetta da ott giga ..
Si possono poi tranquillamente aggiungere … al bancomàtt, la cherta ed crèdit, al letòr ed cidi o ed dividi, al portatil (PC), al digitèl terestre,  ecc...
Penso che la mia teoria fosse dunque corretta; con chi non è d'accordo sarebbe interessante aprire un interessante confronto.
Se qualcuno poi, non conoscendomi, dovesse eccepire qualcosa sul mio cognome, non proprio nostrano, rispondo che mia madre è di Carpi e sono nato e sempre vissuto a Carpi; ciò ha comportato l'assunzione piena dei canoni e delle tradizioni locali, compresa quella di appartenere a quell'endemica e pervicace categoria carpigiana … nota come … quéla di ARVERS !!